mercoledì 11 agosto 2010

Da Tudela a casa, ovvero riflessioni sulle gioie e i dolori dei motociclisti incalliti




Tudela, la città dei "cogollos", si affaccia sull'Ebro e dev'essere anche carina, con il suo centro storico e i negozietti alla moda. Ma abbiamo inforcato dritti l'autostrada per poterci fermare a pranzo dai genitori di Xavi. Del resto partire e ripartire per me è sempre un problema, non tanto per l'attaccamento che sviluppo nei confronti dei posti che mi piacciono (non Tudela), ma piuttosto per il fatto che la batteria della Domi è ancora scarica. La tecnica della spinta è una sudata sia per me che per Xavi, e per avviare con il pedale bisogna avere le gambe lunghe, che io non ho. Mi fa una gran rabbia che lui possa avviare la mia moto per il solo fatto che è grande e grosso e io mi svirgolo un ginocchio se ci provo!

Comunque siamo partiti dalla Terra delle Zanzare e nel giro di 3 ore abbiamo attraversato la Navarra, i vigneti della Rioja, e siamo tornati in Catalunya. A Bellpuig abbiamo trovato tutta la famiglia riunita, una specie di festa di fine giro. Dopo il secondo piatto Xavi era seriamente accasciato sul tavolo e dubitavo che fosse capace di rimettersi in moto. Ma la sessione fotografica ha avuto lo strano effetto di addormentare tutti e svegliare lui.

Tornare a casa dopo 4.200km in 12 giorni diventa un'esigenza fisiologica pressante, almeno per me. E non solo per il bisogno di fare svariate lavatrici... Per quanto si assaporasse il silenzio più assoluto in alcuni dei posti che abbiamo visitato, non dormo da nessuna parte così bene come nel mio letto. Forse la nostalgia, forse la mano di Montse & co. ci ha fatto trovare la nostra casa più bella di come l'avessimo lasciata, le stanze più pulite e ordinate e il giardino più rigoglioso.

Facciamo un breve bilancio dell'esperienza.



Ecologicamente un disastro: io in particolare consumo più di 10 litri di benzina per fare 150km, e ogni 1000 km brucio qualcosa come un litro di olio. La BMW di Xavi è più economica, almeno per quello. Conclusione: la prossima volta andiamo a piedi.


Cose che abbiamo perso per strada: la batteria della Dominator, una fodera impermeabile delle mie borse laterali, un calzino, qualche chilo di troppo, i miei occhiali da vista arancioni, la fiducia nel mio Blackberry... poca cosa in fondo. Ecco, forse abbiamo perso un po' di soldi!

Spese: potevamo decisamente risparmiarci il container a 4 stelle dell'ultima sera, specie dopo aver visto che era un cubo di plastica. Magari avremmo potuto risparmiarci anche la lezione di Kite surf a Tarifa, ma è stata una delle esperienze più belle. Avremmo potuto mangiare qualche panino in più invece di sederci al ristorante quasi tutte le sere... ma senza la degustazione della gastronomia che turismo è?



Con il senno di poi: avrei messo più crema solare, soprattutto in città, mi sarei messa un bracciale o un fazzoletto per evitare di scottarmi il polso tra la giacca e il guanto, avrei messo sempre pantaloni lunghi (portandomene più di uno per giorno in valigia, che poi all'ultimo ho dovuto fare il bucato perché ero rimasta senza) e mi sarei portata dietro la muta per fare il bagno nell'oceano. Xavi avrebbe potuto mettersi calzini più alti o pantaloni più lunghi, e avrebbe potuto incazzarsi meno quando non trovava l'albergo ed era notte fonda in una città sconosciuta! Credo che Xavi abbia anche imparato a non fidarsi delle prenotazioni fatte solo ed esclusivamente via internet: sempre meglio chiamare, giusto per non arrivare e sentirsi dire che avevano confuso il giorno o che non avevano mai sentito parlare di noi.


Rimpianti: mi sarei fermata almeno un giorno in più in ogni posto che abbiamo visitato (eccetto Tudela). Ho portato l'album da disegno e i colori per niente! Non ho avuto tempo nemmeno di scrivere il diario e i post che scrivevo dal Blackberry e non potevo inviare subito si sono persi tra i chip e chop. Avrei tanto voluto fare un pomeriggio di surf, con o senza kite, a dispetto dell'acqua a 10º e delle correnti, volevo sapere cosa si prova a cavalcare le onde. E avrei potuto fare ancora più foto, ma spesso con la moto non potevo fermarmi. Ecco, questa frase riassume l'esperienza: non potevo fermarmi. Ironicamente, mentre guidavo e non solo, mi eccheggiava in testa Gloria Estefan che cantava: "No puedo parar, no puedo parar..."


martedì 10 agosto 2010

Da Alba de los Cardaños (Palencia) a Tudela passando per i girasoli

L'hotel Miralba è semplice, funzionale e molto panoramico. La foto non rende, sembro in prigione, ma ho passato una mattina molto rilassante a contemplare il lago.




Dopo Alba de los Cardaños si continua la Ruta de los Pantanos e sembra di essere sulle Alpi: mucche al pascolo, montagne che si specchianto nei laghetti, aquile e pure cicogne! Peccato che avessi ancora la batteria scarica e ogni volta che staccavo le mani dal manubrio per fare una foto mi si spegneva il motore e dovessi spingere o farmi spingere!

Dopo i laghi abbiamo evitato l'autostrada e si siamo infilati in una provinciale semideserta con campi di grano e qualche pineta...


...ma soprattutto girasoli! La maggior parte aveva già chinato la testa, ma in alcuni campi ancora si poteva godere di questo spettacolo.


Per l'ultima notte di viaggio ci volevamo regalare qualcosa di speciale e dalla pagina web questo "Aire de Bardenas" in Navarra ci sembrava un buon incrocio fra "Té nel deserto" e design minimalista zen. L'architettura di questo complesso aveva ricevuto vari premi ed ero curiosa di vedere perché. Mi allettava la proposta di una sera di ritiro nel deserto, una cosa quasi ascetica se non fosse per la categoria 4 stelle. Ebbene, questo hotel è a poche centinaia di metri dalla superstrada, a un tiro di schioppo da campi e frutteti e giusto alle porte del parco di Bárdenas Reales. Non ci siamo neanche persi per trovarlo, altro che in mezzo al deserto!
Io ci capisco poco di architettura, ma non posso evitare che mi tornino in mente i containers che usavano al liceo per mettere le classi delle sezioni sperimentali. "Le baracche" le chiamavamo.



Almeno ci fosse stata una vista mozzafiato, ma purtroppo la finestra dava su una specie di cortiletto di terra battuta, circoscritto da pile di casse per la frutta di legno! Più che design era riciclo.



L'unica cosa bella della stanza era il letto, forse il più grande di quelli che abbiamo trovato in viaggio. Il che è tutto un dire, visto che a Xavi normalmente avanzano sempre i piedi. La chicca: la carta igienica con il bollino!


Sembra o non sembra Ayers Rock in Australia? E invece no, è Bárdenas in Spagna! Notare le risaie in primo piano, perchè le conseguenze degli acquitrini si spiaccicheranno sul casco di Xavi appena dopo il tramonto.



Sí, perché a Tudela piovono zanzare!

lunedì 9 agosto 2010

Da Oporto a Alba de los Cardaños (Palencia), 526km

La colazione all’Hotel de Paris è una cerimonia abbastanza chic, che personalmente ho cercato di affrontare con la testa alta, portandomi ogni ben di Dio fuori nel patio. Il giardinetto con una modesta fontanella offriva un certo ristoro dall’aria cittadina. Una gatta spelacchiata e rachitica raccontava le miserie che si nascondono appena dietro la facciata regale di questi palazzi. La bestiola ha portato 4 fette di salame e 2 di prosciutto in un nascondiglio dietro la cinta dove sospetto avesse la sua nidiata.

Dopo aver caricato tutte le borse sulle moto, altra partenza a spinta. La mia povera Domi fa più fatica di me a rimettersi in marcia e la mattina ha la batteria completamente scarica. Non è bastata una sola discesa stavolta, ce ne sono volute due più un’energica mano da parte di Xavi, il tutto su una via pedonale con tavolini fuori e camerieri indispettiti, sotto lo sguardo carico di disapprovazione del vigile. La mattina è iniziata subito con una bella sudata, a cui ne sarebbero seguite innumerevoli altre…

Uscire da Oporto è stato relativamente meno difficile che entrarci, ma le indicazioni portoghesi sono sempre dubbie. Abbiamo ripercorso il fiume Douro (Duero in spagnolo) fino alla regione dell’Alto Douro, rovente (38º), per poi rientrare in Spagna. La strada si snoda su e giù dalle montagne, ma dei lavori in corso hanno reso il traffico particolarmente denso. Passati i boschi di eucalipti e pini, e passati i vigneti dei Moscato, la vegetazione diventa bassa e arbustiva. Quando si arriva a Bragança il paesaggio torna ad essere boschivo, con betulle e salici. Abbiamo mangiato in un barettino dove capivamo la metà di quello che diceva il proprietario, l’unica cosa chiara è che alle 14 ora locale eravamo fuori dai loro orari dei pasti, ma ci hanno servito lo stesso un’ottima frittata (per me) e costolette di maiale (per Xavi). Mi ha ricordato i miei tempi da ristoratrice quando l’omino ci ha detto che fanno da mangiare a tutte le ore e loro non hanno tempo di sedersi a mangiare un boccone. Avrà avuto 60 anni lunghi, la moglie forse qualcuno in meno, e con il loro sorriso nascondevano bene la stanchezza di tanti anni di servizio.

A Bragança abbiamo finalmente dato una lavata e un’ingrassata alle nostre fedeli moto. Avevano tanto fango e tanti moscerini che sembrava avessimo fatto la Parigi Dakar. Sfortunatamente l’idropulitrice non aveva sapone e aveva poca pressione, ma anche con una semplice sciacquata Xavi si è dato per soddisfatto. Non so quanto deve aver sofferto a vedere il proprio gioiellino imbrattato, lui che se la pulisce ogni settimana. La mia Domi invece porta i segni di tante battaglie, ultimamente persino le fiancatine hanno ceduto sotto il peso delle borse e il calore degli scarichi, e un po’ di sporco le dà un’aria ancora più vissuta, o almeno così piace pensare alla mia indole pigra.

All’uscita da Bragança bisogna ignorare le indicazioni per la Spagna e prendere invece per Vila Real, in modo da seguire il corso di un fiumicello a cui attingono innumerevoli orti, dove spiccano le zucche, tonde e arancione come tanti piccoli soli. Il confine con la Spagna diventa invece una brughiera desolata, apparentemente terra di nessuno, dove gli uccellini fanno compagnia ai mulini a vento. Una coppia di volatili non identificati ha seguito la moto di Xavi per almeno 200m a 70km/h, senza mai staccarsi dalla sua destra.

Forse per il fatto che si trova su uno dei cammini di Santiago, la Puebla de Sanabria è il primo paese di un certo comfort e piuttosto curato che si trova dopo il confine. Se avessimo avuto tempo, mi sarei stesa volentieri sulle rive del fiume o del lago e magari avrei fatto pure il bagno. Ma era già pomeriggio inoltrato e alla frontiera gli orologi saltano un’ora. Altra nota “per quando verremo con più calma”. La superstrada sarebbe scorsa via liscia se non ci avesse fermato la polizia. Sulle prime pensavo che mi volessero dire qualcosa perché fino a poco prima avevo un piede sul manubrio. Mentalmente ho ricapitolato il codice della strada rispetto alla posizione di guida, ma non mi risultava di essere irregolare. E invece no… Avevo dimenticato di accendere le luci! Dato che ho la batteria a secco le tengo spente quando metto in moto e dopo non mi sono più ricordata di accenderle. Pensare che normalmente le tengo accese in qualsiasi occasione, ma la legge di Murphy non va mai in vacanza e la volta che devi risparmiare batteria ti becca la poli. Ho avuto il pessimo istinto di addurre come scusa proprio la verità, la batteria, e mi è caduta una ramanzina su come potessi andare fino a Barcellona senza luci. “Bisogna fare multe e togliere punti perché la gente capisca e si ricordi! Allora, signora, dobbiamo mettere la penna in mezzo o no?” Perché sono così sbruffoni? Mi chiedo se gli insegnano i gesti prepotenti e le espressioni sprezzanti alla scuola di polizia. Alla fine non mi ha fatto la multa e tanto in Spagna non mi possono togliere i punti dalla patente italiana, ma mi ha fatto una rabbia sorda che mi è durata per vari km. A questa stizza si sommava la stanchezza e la voglia di prendersela con calma. In fin dei conti siamo in vacanza, ma evidentemente la fretta ci si è infilata nei bagagli, ce la siamo ritrovata dietro e non abbiamo più saputo dove lasciarla.

Superstrada e ancora più superstrada, a 120-130km/h, con il mio monocilindro sempre a 6000 giri, credo che mi vibrasse anche il cervello. Alla stazione di servizio faticavo ad articolare le parole. Sul sellino ti inventi qualsiasi posizione pur di muovere un poco le gambe e la schiena. La strada fino a Guardo è abbastanza piatta, in mezzo a pascoli e campi coltivati. Dopo una distesa apparentemente sconfinata di pianura, un mare di terra appena increspato dal vento, si intravedono le montagne ed è quasi un sollievo. Chissà perché nella mia testa i boschi e i rilievi sono il riparo, la protezione, il rifugio. Sarà una leggera forma di agrofobia, ma se l’orizzonte è piatto a 360º mi sento vulnerabile, esposta, persa.

Xavi ha scelto, come al solito, un posticino in capo al mondo. Siamo arrivati, come al solito, al buio, ma questa volta non si poteva sbagliare strada. Da Guardo si sale per la “Ruta de los pantanos” e si costeggiano dei laghetti artificiali molto belli. La strada serpeggia solo dal lato ovest e c’è il rischio di trovarsi una mucca dietro a ogni curva. Il tramonto ci ha regalato tinte pastello e insetti spiaccicati ovunque. È decisamente una bella passeggiata da fare in moto, magari con meno km alle spalle.

L’albergo Miralba, a Alba de los Cardaños, è delizioso, ha una vista incantevole e i proprietari sono molto premurosi ma senza essere invasivi. Una parte di me sognava di potersi sedere a scrivere e disegnare davanti ad una finestra che guarda il lago e le montagne, con le rondini ed i passerotti che mi vengono a salutare. Sentivo il bisogno fisiologico di stare ferma per qualche ora, a pensare, a contemplare il paesaggio, a riflettere sul percorso. Xavi è andato a passeggiare armato di macchina fotografica, io mi sono fermata in camera e mi sono montata l’ufficio davanti al balconcino. L’unica cosa che manca è internet, ma forse è meglio così, altrimenti mi sarei fatta prendere dalla febbre carica-foto e non avrei scritto nulla, sentendomi poi doppiamente frustrata. Le foto raccontano una storia, ma ce n’è sempre un’altra che scorre parallela sotto la superficie, come una di quelle correnti profonde che si celano appena sotto lo specchio dell’acqua.

domenica 8 agosto 2010

Da Lisboa a Porto passando per Coimbra


Giorno piovoso, il primo del percorso. Dopo colazione abbiamo aspettato che spiovesse un poco e una volta caricate tutte le borse sulle moto ci siamo trovati la seconda sorpresa: la mia Domi non parte. La batteria ha qualche annetto e deve essere agli sgoccioli, per cui siamo riusciti a farla partire solo spingendola giú da una discesa. Spingere con la tenuta da pioggia è una bella sauna! 150km più tardi ci siamo concessi una seconda colazione dal benzinaio. Decisamente il caffé portoghese è schiacquetta.





Tappa intermedia tra Lisboa e Porto non è stata Fatima bensí Coimbra, giusto perchè preferisco i santuari del sapere. Ci fermiamo al primo bar decente che troviamo per un pranzo tardivo e chi ti troviamo? Due comaschi! Casi della vita, una decina di anni fa devo anche aver servito loro la birra quando facevo la cameriera a Cermenate! Sono stati così carini da darci la loro cartina con le indicazioni necessarie: grazie a loro abbiamo evitato la scarpinata fino all'università e siamo saliti con le moto.


Mi aspettavo di più dalla tanto decantata università di Coimbra, fondata nel 1290 e principale ateneo portoghese. Almeno potevano piantare qualcosina di più in questa specie di piazza d'armi che hanno in mezzo! Venendo dall'Alhambra e da Los Reales Alcázares mi è sembrato un po' spoglio. In compenso la cappella è di un barocco stracarico, con un organo imponente nonostante le proporzioni ridotte dell'ambiente.



Ma la vera chicca è la Biblioteca Joanina, la chiave del sapere!


Le tre sale sono sviluppate in altezza e sono tappezzate di volumi antichi, che occhieggiano ben ordinati e classificati in scaffalature barocche intagliate. La penombra ed il silenzio ancora più solenni che nella cappella contribuivano a dare all'ambiente un'atmosfera da tempio del sapere. Diverse porticine si aprivano sui lati e mi incuriosivano. Il guardiano è stato così gentile da rispondere alla mia tempesta di domande (io in spagnolo e lui in portoghese). Alcune porte davano semplicemente alle balconate per accedere agli scaffali più alti, ma altre davano accesso a dei cubicoli delle dimensioni di un confessionario che erano come gli uffici dei professori. Erano gli unici a godere di un tavolino privato illuminato dalla luce naturale di una finestra. Gli studenti, poverini, si accecavano intorno a tavoloni a lume di candela. La porticina con scritto "CIMELIUS" era la sala dei tesori: non me lo ha voluto dire direttamente, ma probabilmente ancora oggi custodiscono edizioni rare e pregiate della Bibbia o della Os Lusíadas, la loro poesia epica nazionale sulla scoperta delle Americhe.
Da quando il bibliotecario mi ha rivelato che Cimelius viene dal greco e significa tesoro, ho ribattezzato Xavi-tesorino "Cimelius"!


Volendo si sarebbe potuto anche visitare il monastero di Santa Clara, ma Oporto ci aspettava e ci siamo accontentati della cattedrale.




All'uscita dal centro storico, mentre scendevamo in moto una delle ripide stradine di ciottoli, proprio davanti a noi è scoppiata una tubatura. Una coppia di turisti a piedi poco più avanti a noi e quasi nel punto dove il selciato è ceduto ha fatto un balzo indietro ed è scappata in su. Xavi ha avuto un momento di esitazione, tentato dall'avventura di attraversare una specie di fiume urbano con la sua ruggente BMW, ma poi ha fatto i conti con l'acqua marroncina di dubbia provenienza e le pietre scivolose e ha fatto inversione. Io l'ho seguito a malincuore perchè volevo fare una foto, ma la cosa sembrava potesse peggiorare e non avevo nessuna voglia si sprofondare negli inferi delle fogne coimbresi!

Siamo arrivati a Porto dalla parte sbagliata per Xavi ma dalla parte giusta per me, che ho approfittato per infilarmi nel museo della Stampa (Museu Nacional da Imprensa) a 30 minuti dalla sua chiusura. Oltre ai mastodontici macchinari con cui lavoravano le prime tipografie, nel seminterrato c'era una mostra di vignette umoristiche carinissime. Ogni anno fanno un concorso, e quest'anno il tema erano le macchine volanti. Avrei comprato il catalogo da regalare a quel volatile del mio babbo, ma non avevamo abbastanza contanti e il bancomat non funzionava. Un immenso grazie all'impiegato che ci ha spiegato che strada prendere per arrivare all'albergo! Avrebbe dovuto sbatterci fuori alle 20.00 e alle 20.30 eravamo ancora lí.

Porto di sera è meravigliosa, specialmente se vista dal "Marginal" (strada che costeggia il fiume Douro), quando i ponti cominciano ad accendersi.


La vita notturna si concentra proprio qui, ad un passo dalle enoteche che portano in nome delle marche di Porto più famose. Le casette hanno un'architettura abbastanza nordica, con finestre bianche quadricolate a ghigliottina, muri grigetti e tetti di ardesia.








Xavi ha deciso che preferisce Porto a Lisboa, pur non essendo un amante del vino e pur avendo sudato sette camice per parcheggiare la moto. Già, perchè come a Milano, anche qui si parcheggia sui marciapiedi, ma con l'ausilio di "parcheggiatori" improvvisati, che hanno deciso di autopromuoversi da mendicanti a ausiliari della sosta. Ti indicano dove lasciare il tuo mezzo, ti assicurano che sará sicurissimo, che la polizia non ti multerá, e poi ti tendono la mano, e non la ritirano finché non ci depositi una moneta. Xavi ha sentito puzza di mafia e appena svoltato l'angolo ha chiesto ai vigili dove fosse meglio lasciare le moto. Avevamo l'hotel in pieno centro, in un labirinto di sensi unici. I vigili si sono guardati, ci hanno guardato e ci hanno chiesto se eravamo noi quelli che erano appena scesi contromano. Perché a metà via si invertiva il senso di marcia, e ancora non abbiamo chiaro dove fosse il cartello che lo indicava. Insomma, che per evitare una multa momenti ne becchiamo un'altra. Ma i vigili portoghesi sono magnanimi, ci hanno graziati, ci hanno chiesto in che hotel fossimo e ci hanno detto che potevamo metterla proprio lì all'angolo sul marciapiede di una via pedonale. Uno dei vigili ha detto che avrebbe scansato la sua per far posto alla mia, pensa te che gentili! Ma... dovevamo arrivarci per vie legali, facendo tutto il giro dell'isolato. No problem... torniamo dove avevamo lasciato le moto, salutiamo il posteggiatore abusivo e ci perdiamo nel labirinto dei sensi unici. Esasperata dal giro dell'oca, decido di sfidare la sorte e mi attraverso sulle strisce la circonvallazione per poi imboccare la viuzza pedonale in contromano. Quando ci hanno visto arrivare, i nostri amici vigili ci hanno detto qualcosa del tipo: "Teste di cazzo", ma in portoghese. Abbiamo fatto la scena del gatto con gli stivali che fa gli occhioni teneri a Shreck ed ha funzionato, ci hanno risparmiato ancora la multa! A condizione però che smammassimo l'indomani alle 9, massimo 10 del mattino.
Di ritorno all'hotel ci siamo chiesti se fossero veramente i vigili o le guardie giurate della Banca do Portugal!

sabato 7 agosto 2010

Sintra e Lisbona, cabo da Roca e 3 castelli in un giorno

La "saudade", traducibile come nostalgia o tristezza, ci ha raggiunto nelle parole disilluse della proprietaria del B&B Casal Antigo. Il discorso è iniziato con il fuoco che appiccano nella zona per poter edificare vicino al mare e alla città, a quanto pare con la connivenza delle autorità. La mafia non è solo cosa nostra, anche in Portogallo si saltano regolamenti e leggi per favorire l'amico del politico di turno che ha un terreno su cui costruire un centro commerciale. Anche in Portogallo l'economia in agosto si paralizza perché sono tutti in vacanza. La crisi ha messo in ginocchio molta gente anziana che vive nei centri storici e non può permettersi di ristrutturare lo stabile. Il comune interviene, fa i lavori, ma poi fa indebitare gli inquilini per pagarli. Riassumendo il suo pensiero: il mondo va allo scatafascio. Per cui la soluzione più ragionevole che abbiamo trovato, noi come tanti altri, è stato andarcene in spiaggia.


Dopo colazione ci siamo diretti alla "Praia do Maças" (pronunciato come l'inglese "massage") giusto perché la proprietaria dell'hotel ci aveva parlato della scuola di surf tenuta dall'ex campione brasiliano. Arrivati là ci troviamo con 21º, e nonostante ciò la spiaggia gremita, e il campione brasiliano fuori fino all'indomani. Piuttosto che fare a sgomitate per stendere l'asciugamano, abbiamo rinforcato la moto. Il surf sará per un'altra volta...


Cabo da Roca, il punto più occidentale del continente (o era il faro di Touriñan, vicino a Finisterre?)




Il capolavoro del Romantico a Sintra, il Castelo da Pena, con un meraviglioso giardino botanico con specie esotiche. Le sequoie sono impressionanti!









Castelo do Mouros, sempre a Sintra, altra scarpinata su e giù.






Lisbona: elevatori per vedere il panorama dall'alto.


Artisti di strada sulla Rua Augusta: Static man.

Castelo de Sao Jorge





Cena nel "Ristò", da evitare accuratamente. Dopo 40 minuti di attesa, ci arriva l'antipasto: LA crocchetta. Normalmente chiedendo "crocchette" ne arrivano diverse, non UNA SOLA lunga come un dito! E non solo, ma la cameriera l'ha servita con tanto buon garbo che è finita anche fuori dal piatto e quasi in braccio a Xavi!
La mia "insalata portoghese" con ceci e baccalà non era male, e anche la bruschetta con pomodoro, mozzarella e (puah!) maionese era accettabile, ma decisamente la salsiccia che hanno portato a Xavi dopo la crocchetta era immangiabile. Per lasciarla a metà lui che non è uno schizzinoso, doveva essere proprio rinsecchita!


Per colpa del "Ristò" siamo arrivati tardi allo spettacolo che pregustavamo sin dal nostro arrivo a Lisbona. Al nostro arrivo, verso le 18, avevamo parcheggiato la moto proprio di fianco alla piazza del commercio, dove fervevano i preparativi per i mini palcoscenici a forma di fiore e per lo spettacolo pirotecnico. A spettacolo iniziato la moto era rimasta dietro alle transenne! Temevamo ce la portassero via o che come minimo ci multassero, invece i vigili sono stati magnanimi.

Lo spettacolo era parte del Festival dos Oceanos e suonava il gruppo Terra Folk (che avevamo giá visto alla Mercé di Barcellona e di cui Xavi aveva comprato il CD). Li abbiamo riconosciuti per la loro versione metal di "You are my sunshine". I fuochi d'artificio erano coordinati alla musica, quasi uno strumento in più, e devo ammettere che hanno fatto un'ottimo lavoro con la messa in scena. Era davvero suggestivo, peccato sia durato poco




venerdì 6 agosto 2010

De Lagos a Lisboa

Cabo de San Vicente







Cordoama, la spiaggia dove avevano appena fatto i campionati europei di surf.






"Vu cumprá" portoghese, ossia noi si va in spiaggia leggeri.





Negozietti di porcellane variopinte lungo la strada.



L'appartamento carinissimo dove abbiamo dormito a "Quinta do Mar da Luz", Praia da Luz, di fianco a Lagos.

L'Algarve ha una costa che alterna scogliere e spiagge di sabbia finissima. La campagna è piú verde dell'Andalucía e mano a mano che si sale si vedono boschi di faggi e querce oltre alle pinete. Ogni tanto si trova anche qualche mulino a vento antico, ma soprattutto ce ne sono di moderni. Ci siamo fermati in una spiaggia dove avevano appena fatto i campionati di surf europei, ma a dire il vero non c'era molta gente in acqua. Invece di cogliere l'occasione e noleggiarmi una tavola, mi sono fatta cogliere dalla pigrizia e dopo un primo approccio all'acqua gelida mi sono addormentata al sole. Abbiamo dormito la bellezza di un'ora e mezza!
La temperatura portoghese è quanto mai bizzarra: si passa da 40º a 20º nel giro di pochi km. Dipende dalle correnti immagino, ma in spiaggia se non ci fosse il sole farebbe freschino e la sera c'è da coprirsi.
Ci siamo persi per stradine secondarie e siamo arrivati a Lisbona a notte fonda. Xavi era isterico perché non trovava il B&B e quando ha chiamato per chiedere indicazioni stavano già dormendo!